Antonio Panzuto

Figura atipica nel panorama teatrale italiano, Antonio Panzuto è un demiurgo gentile, un artista della scena che sfugge alle etichette con sorridente discrezione. Le sue macchine teatrali sono abitate da oggetti e figure azionate a vista tramite grovigli di fili: mescolando legni e metalli, corde e tessuti, produce visioni secondo i segreti dettami di una drammaturgia pittorica che procede per affinità e corrispondenze più che per nessi logici o narrativi.

Antonio Panzuto è pittore, scenografo e scultore.
Ha realizzato lavori originalissimi utilizzando oggetti, macchine e sculture da lui stesso create da materiale di recupero solitamente lontano dai canoni di bellezza e che nelle sue mani acquista la dignità di luoghi astratti ed emozioni forti, definite da un particolare uso del colore.
In queste scene, la pittura trasforma il palcoscenico in un luogo di luce e movimento. Le due dimensioni acquistano profondità e plasticità.

Antonio Panzuto pensa al teatro come ad un lavoro collettivo delle arti, in cui ogni elemento del palcoscenico contribuisce ad una visione globale, costringendo il regista a dare ugual peso a linguaggi differenti e offrendo allo spettatore diversi livelli di interpretazione in cui il vedere equivale al sentire emotivo.
La sua ricerca è stata in buona parte influenzata da un lato dalle arti cinetiche che trattano il tema del movimento come una delle più interessanti questioni artistiche negli ultimi cinquanta anni; dall’altro, da alcune correnti artistiche americane degli anni ’60, in particolare la Pop Art dove il lavoro con oggetti d’uso quotidiano assume un forte valore simbolico.

Nel lavoro di Antonio Panzuto le rigide regole della meccanica vengono ribaltate, permettendo all’artista di entrare con leggerezza in un nuovo ordine di idée, in cui “la macchina” abbandona la sua logica funzionale e riqualificata come oggetto, ribaltando la sua forma e funzione.
Si tratta di sculture, dipinti assemblati e “combinati”, fatti di motori o oggetti di scarto, pezzi di ferro saldati incollati tra loro, accostati apparentemente per caso, inchiodati vecchie tavole e dipinti con pennellate ampie e improvvise.

www.antoniopanzuto.it

 

L’ATLANTE DELLE CITTA’ – NUOVA EDIZIONE

Prodotto dal Teatro Stabile Torino per la prima edizione di INTERNATIONAL BIENNIAL OF CHILDREN AND YOUTH THEATER 1992

CON: Antonio Panzuto
SCENE E OGGETTI: Antonio Panzuto
LUCI: Paolo Rodighiero
SUONI: Alessandro Tognon
REGIA: Vasco Mirandola
SUPPORTO TECNICO: Gianugo Fabris
COLLABORAZIONE ALLA SCENEGGIATURA: Pierelisa Facco

Durata: 55 minuti

L’ATLANTE DELLE CITTÀ si sviluppa attorno ad una macchina scenica che si apre e si trasforma sotto gli occhi dei bambini diventando aereo ad elica, bicicletta, lanterna magica, atlante di città dove si nascondono storie, personaggi, racconti, immagini, disegni: figure di un film che inizia e si svela lentamente. Appaiono così LE CITTÀ INVISIBILI, infilale nei cassetti, tra sportelli e nascondigli, città capovolte, immerse nell’acqua, ricamate di carta, ritagliate nel rame, costruite di corda e di spago, appese a fili sottili e trasportate da cigolanti carrucole.
Si assiste allo spettacolo seduti sotto una tenda, una tenda del deserto che rende intensa e suggestiva la partecipazione dei bambini che si trovano così, a viaggiare assieme a Marco Polo, viaggiatore solitario del nostri giorni, un po’ assente e stralunato che parla in rima e che “… ignaro delle lingue del Levante non può esprimersi altrimenti che con gesti, salti di meraviglia, con oggetti che va estraendo dalle sue bisacce… e palese ed oscuro, tutto quello che mostra ha il potere degli emblemi che una volta visti non si possono più dimenticare né confondere…”.

“Lèggere e leggerezza: una parola ricorda l’altra e nel leggere Calvino si ha sempre questa sensazione, di essere sospesi e leggeri come le sue parole. Le sue città invisibili sono dappertutto, nella nostra vita di lutti i giorni: si nascondono tra i fogli sparsi della nostra scrivania, tra le corsie del supermercati, tra le foglie degli alberi; ci seguono ovunque, nelle tasche dei vestiti, nel fazzoletto aggroviglialo nella borsa, nel pacchetto delle sigarette.
Calvino gioca con le parole e ci spedisce messaggi interplanetari facendoceli trovare per caso sotto la tazza del caffè.
La difficoltà è nel saperli riconoscere.

Così anch’io ho provato a giocare con le figure di carta, con le mani, con colori e ricordi, ho provato a credere che un motore di lavatrice può far muovere un luna park e che un girarrosto può far girare l’elica di un aereo. Il risultalo è un gioco, con le cose e gli oggetti per sollevarsi dal mondo cosi normalmente quotidiano e ritrovarsi lontani… sulle rotte dell’Oriente.”

 

LE MILLE E UNA NOTTE
Breve viaggio sul fiume delle storie

Produzione: Fondazione Aida
LUOGHI, OGGETTI, AZIONI: Antonio Panzuto
NARRATORE: Mariagrazia Mandruzzato
LUCI: Paolo Pollo Rodighiero
SUONI E REGIA: Alessandro Tognon

Durata: 57 minuti

“Le storie hanno due grandi poteri: possono cambiare gli uomini e possono vivere per sempre.”

Le MILLE E UNA NOTTE sono un grande fiume di storie, scorrono una dopo l’altra e spesso una dentro l’altra, in un flusso calmo e continuo.
Il fantastico nasce dal quotidiano, il prodigio e la normalità si intrecciano sino a disciogliersi l’uno nell’altra e la magia della trasformazione diventa il segreto motore e l’invisibile essenza delle cose.
La scena è una grande duna del deserto, che può diventare il mare o la città araba che il Califfo Harùn Ar Rashìd, di notte in incognito, vuole percorrere e scoprire.
Con semplici elementi scenici, legni, foglie, piccoli bambù, corde, lampade, figure di ferro o gesso dipinto, si ricreano e si suggeriscono ambienti, notti, giorni, stagioni, climi, contesti, nei quali le storie si sviluppano.
Lungo i lati maggiori della scena i bambini siedono su tappeti. Due piccoli teatrini chiudono la scena.

La finzione teatrale è palese, e tutti movimenti e i cambiamenti sono a vista perché è la figura umana che genera e determina l’azione.

Antonio Panzuto come negli altri suoi lavori, si muove dunque attorno alla scena, concentrato nel dare movimento e parola agli oggetti creati e trasformati in marionette o figure preziose fino a un momento prima solo decorative, per dare loro la funzione importante di raccontare amore, tradimento, libertà e schiavitù, intelligenza e ottusità, magia e divinazione, morte e bellezza, guerra e viaggio, incarnati in tipi umani, principesse e ladroni, bambini e vecchi ambulanti, soldati e marinai ma anche in uccelli che parlano, alberi che cantano, cavalli volanti, geni terribili.

Inseguiamo l’utopia di un’opera che vuole dar un senso nuovo alle cose che l’hanno perduto, reinventandone la funzione in un campo di intensità poetica.

 

OMERO ODISSEA
Canto per oggetti e voce

Produzione: Teatro Stabile delle Marche
FIGURE E MACCHINE: Antonio Panzuto
VOCE : Giancarlo Previati
SUONI E REGIA: Alessandro Tognon

Durata: 57 minuti

… E resta con me, dammi la forza e la furia come quando abbiamo dispiegato le vele brillanti di Troia.
Se con tanta passione tu fossi al mio fianco.
Dea degli occhi lucenti, allora dovrei affrontare anche trecento uomini con te, divina, che mi hai prestato il tuo aiuto. E a lui ha detto Atena, dea degli occhi luccicanti: io sarò al tuo fianco, non ti perderò di vista, quando sarà il momento…

L’Odissea è il poema del viaggio e della nostalgia. E’ la storia di Ulisse, eroe astuto e valoroso, ma enormemente infelice, perché, desideroso di ritornare in patria, è spinto continuamente lontano dall’odio di un Dio. E’ costretto ad affrontare avventure affascinanti e pericoli terribili: dai mangiatori di loto, la pianta che fa dimenticare il ritorno, al Ciclope mostruoso, crudele e beffardo, dalla maga Circe, bellissima, che trasforma in porci i compagni di Ulisse, al canto delle Sirene, dal vento di Eolo a Scilla e Cariddi.

Omero è inimitabile narratore, pacato e maestoso e dimostra ovunque le sue capacità drammatiche e la virtù trasfigurante della sua poesia, capace di creare, tra continue metafore e similitudini, un mondo fiabesco, irreale, onirico. Come è immediato essere catturati dal racconto, così questa versione dell’Odissea, canto per oggetti e voce, vuole trascinare con sé chi guarda, attraverso la continua trasformazione della scena. Sculture plastiche in movimento, e figure, macchine sceniche sofisticate, giocattoli tradizionali, come il Lego e il Meccano, oggetti d’uso quotidiano, ispirati all’iconografia greca, vengono utilizzati per accompagnare il racconto, narrato da una voce quieta che enfatizza i passaggi emotivi, ma che, come un canto fluisce, tranquilla come un sogno.

La scena è come il mare che segue e si oppone sempre ad Ulisse, si apre e si chiude, si trasforma per la lotta e si modifica per il viaggio. Così alla parola si oppone il gesto silenzioso, al racconto la forza espressiva degli oggetti, ai silenzi i delicati colori della luce. Parole e immagini si aiutano e si fondono assieme senza mai illustrarsi a vicenda, si seguono e si suggeriscono, correndo su binari espressivi differenti ma paralleli, spinte dal vento della poesia.

 

IL FRIGORIFERO LIRICO

OGGETTI E SCENE: Antonio Panzuto
COLLABORAZIONE ALLE SCENE: Alberto Nonnato
VIDEO: Raffaella Rivi
REGIA: Alessandro Tognon
LUCI: Gianugo Fabris

Durata: 36 minuti

Notte insonne. Una cucina minuscola. L’uomo beve qualcosa e apre il frigorifero. Ne escono voci, come se qualcuno fosse rinchiuso al suo interno.

A volte basta un pensiero, un segno e tutto trasfigura. Piccole marionette e ballerini cantano nelle bottiglie del latte e nella ghiacciaia si consuma una scena della Boheme. L’elettrodomestico si trasforma sotto gli occhi dell’uomo in un teatro d’opera , con il pubblico seduto nei palchi illuminati tra il burro e il formaggio mentre l’orchestra si prepara a suonare, accordando gli strumenti, nascosta nel cassetto della frutta.
Non resta che tuffarsi letteralmente nel frigorifero a inseguire le proprie visioni.

In questo andirivieni tra realtà e mondo onirico si perdono le relazioni tra lo spazio e il tempo; incredibilmente colori, suoni, immagini e video animazioni, ombre cinesi, marionette e figure di carta esplodono dal frigorifero lirico: raccontano e dipingono la musica in un affresco leggero e brillante, e animali, vascelli, sirene, cantanti e personaggi da fiera si muovono incantati sulle musiche d’opera del Vascello Fantasma di Wagner, della Carmen di Bizet e delle entusiasmanti musiche di Rossini.

La musica lirica fa da traccia sonora, ironica e speciale in una inaspettata e prodigiosa atmosfera di ”divenire leggero della vita”: alla fine tra gli applausi, il pubblico ritorna nel suo teatro fatto di bottiglie, frutta e pomodori e l’uomo ritorna alla luna, da dove è sceso per un attimo.
Qualche volta anche gli oggetti si ribellano rivelandoci i loro caratteri e le loro passioni e ci riportano al gioco e alle sue regole : tutto può succedere, anche in una cucina come le nostre, dove ogni oggetto svolge pigramente la propria attività e dove un frigorifero esegue con pazienza da sempre il suo gelido compito.

Il mio Frigorifero Lirico è un puro, semplice, ironico giocattolo,
nato da un sogno e nella dimensione del sogno realizzato