dal poema Une saison en enfer di Arthur Rimbaud tradotto da Ivos Margoni
Ieri sera, davanti al pubblico attento del Teatrino Carichi Sospesi di Padova, Nicola Lotto ha presentato la prima del suo spettacolo dedicato ad Arthur Rimbaud, “L’Angelo in esilio”, cui già aveva dedicato l’omonimo disco. La versione teatrale è frutto di un lungo e accurato lavoro di messa in scena e si rivela efficacissima, conferendo un sicuro valore aggiunto alla dimensione discografica. Da solo in scena, quasi sempre in penombra o in controluce, Lotto si muove sul palco molto lentamente e con circospezione, quasi in punta di piedi, per non spezzare con rumori accidentali la magia del silenzio e del buio in cui ha immerso la sua rilettura di “Una stagione all’inferno”.
Il musicista è contemporaneamente dentro e fuori il poeta francese; a volte lo guarda dall’esterno come narratore-amico, altre volte prende le sue vesti esprimendosi in prima persona: una scelta pertinente, perché Rimbaud stesso presenta sintomi di dissociazione emotiva e psicologica. Nicola adopera frequentemente una lanterna, per esplorare le tenebre, ma anche per dare un po’ di luce al suo volto recitante: è un altro modo appropriato per far visualizzare allo spettatore le stanze della mente del poeta. La piece è una alternanza di prosa e poesia, musica e recitazione: all’interno esplodono/implodono il mondo e l’immaginario di Rimbaud. Sussurri, grida, declamazioni e rapidi ritorni alla quiete caratterizzano l’enunciazione dei testi, febbricitanti, magmatici, dalla sintassi a volte sconnessa, disordinata, come accade in chi ha delle visioni o attraversa deliri onirici. E’ la traduzione visiva/auditiva dell’inquietudine, un tormento però complesso, fatto di apparizioni, colori, immagini e suoni insoliti, quasi provenienti da un altro mondo. L’inferno di Rimbaud è più buio che fuoco, ogni tanto ravvivato da qualche improvvisa e fugace accensione. In questo luogo ci si muove con cautela, ci si esprime con interiezioni, elenchi di cose, ripetizioni di frasi che sanno di enigmatici aforismi e la cui iterazione sembra dare all’autore una parvenza di consolazione, di auto-analisi, di sedativo che lo riporta alla realtà. Si tratta di brevi momenti, perché la sua percezione del reale è alterata, sembra un viaggio lisergico in un territorio ignoto, una esplorazione dell’inconscio, l’altra faccia dell’inferno, appunto.
Le voci registrate, come quelle di un coro di tragedia greca, commentano e narrano; ad esse si mescolano brevi basi musicali che sfociano fluidamente nel suono reale della chitarra suonata dal vivo, come se si volesse illustrare, in tempo reale, il processo creativo urgente ed impellente, il percorso che fa l’ispirazione artistica, che nasce da un altrove misterioso e giunge placidamente nelle mani e nella voce dell’interprete.
La fuga da tutto, nella vana ricerca di pace e di quiete, il viaggio incessante e compulsivo da un luogo all’altro del pianeta, la direzione verso luoghi esotici, che siano affatto “altro” dai panorami cittadini in cui vive la massa, l’anelito costante verso la luce ed il sole, che restano irraggiungibili, sempre troppo distanti: sono tutti temi che caratterizzano il vitalismo decadente e disperato di Rimbaud. Nicola Lotto asciuga tuttavia l’effusione sentimentale e romantica; ne fa un oggetto essenziale, privo di orpelli e lo rende più moderno e più applicabile universalmente: i tormenti dell’animo umano, le paure e le insicurezze, i conflitti interiori sono gli stessi di sempre, alla radice, ma cambiano i fattori ambientali, le circostanze. Sorgono nuovi problemi, posti dalla modernità, dalla scienza, dalla tecnologia, in grado di mettere continuamente in crisi l’etica, i sentimenti, l’identità, il proprio ruolo nel mondo. La risposta di Rimbaud, attraverso l’interpretazione di Nicola Lotto, è un ripiegamento interiore verso gli elementi essenziali, nudi e crudi, della natura umana, la riflessione su se stessi. Anche la mera enunciazione, ad alta voce del proprio flusso di coscienza può improvvisamente aprire degli squarci di luce, rivelare una via di fuga, una intuizione nascosta, dare la chiave che apre qualche porta decisiva. Tornare alla radice del pensiero e del linguaggio, anche nei momenti di caos primordiale, sono l’estremo tentativo di Rimbaud di ritrovare aderenza con le cose, con il reale, di posare i piedi su una qualche pur fragile superficie. E non per fare, per un mero auto-compiacimento, poesia (“quella è una cosa da ragazzi”, ricorda Rimbaud, prendendo le distanze da ogni vacuo esercizio di stile e da ogni estetismo), ma per ritrovare la vita vera, vissuta, esperita, vista con i propri occhi e toccata con mano, laddove essa sembra svanire ad ogni passo.
L’angelo in esilio è uno spettacolo di spessore e di pregio, che non lascia indifferenti: va visto con atteggiamento disponibile e curioso, aperto alla “provocazione” e allo “scuotimento”, lasciandogli così l’opportunità di insinuarsi sottilmente nello spettatore e di restargli addosso anche ben oltre la sua conclusione sul palco.
Lo spettacolo ha debuttato in prima nazionale il 13 aprile 2025 al Circolo Culturale Carichi Sospesi.
Di seguito il link alla scheda artistica dello spettacolo:





